Sincione di San Vito. Lo sfincione di San Vito era la ghiottoneria preparata dalle monache del convento palermitano di San Vito (dietro l’odierno teatro Massimo). Questa piatta, fra le tante varianti, è quella che tradizionalmente veniva preparata (senza la salsa di pomodoro) per la notte di San Silvestro.
Alla fine della ricetta, nel paragrafo “a proposito di sfincione”, approfondiremo l’argomento compreso il significato di piatta
(con gli ingredienti appresso descritti, utilizzando il lievito madre, abbiamo ottenuto circa 3,700 Kg di impasto che ci hanno consentito di preparare tre teglie da 25 cm di diametro dalle quali si ricavano 24 porzioni)
Ingredienti per l’impasto
kg 2,100 farina 00
750 ml acqua
20 grammi di zucchero
80 grammi di olio extravergine d’oliva
il succo di un limone e mezzo
150 grammi di strutto
36 grammi di sale
90 grammi lievito di birra (noi abbiamo usato 500 grammi di lievito naturale)
Ingredienti per il condimento
kg 1 macinato di polpa di maiale
900 grammi salsiccia
300 grammi di salame piccante (tipo soppressata)
kg 1,800 passata di pomodoro
450 grammi concentrato di pomodoro
due foglie di alloro
3 cipolle
un bicchiere e mezzo di vino rosso
grammi 450 primosale
gr 150 pangrattato tostato
due pizzichi abbondanti di cannella
tre cucchiaini semi di finocchio
q.b. di origano secco
olio extravergine d’oliva
sale e pepe q.b.
Procedimento per l’impasto
Se usate il lievito naturale
mettere in una impastatrice o una planetaria l’acqua,il succo di limone, l’olio, il lievito madre, la farina setacciata, lo zucchero e mettere in funzione l’impastatrice. Quando la farina avrà assorbito i liquidi cominciare a unire, poco per volta, lo strutto. Una volta inglobato quest’ultimo, unire il sale e continuare ad impastare fino ad ottenere un impasto liscio e morbido. Formare una grossa palla e adagiarla su di un piano spolverato di farina, coprirla per bene con pellicola da cucina e farla riposare per due tre ore tenendo presente che deve raddoppiare di volume.
Se usate il lievito di birra
impastare la farina con il lievito sciolto in poca acqua tiepida, lo zucchero, l’olio il succo del limone e la rimanente acqua tiepida. Lavorare finché l’impasto è ammassato e unire lo strutto, poco per volta, fino a completo assorbimento e, comunque, fino ad ottenere un impasto liscio e morbido. Formare una grossa palla e adagiarla su di un piano spolverato di farina, coprirla per bene con pellicola da cucina e farla riposare per due ore e, in ogni caso, finché raddoppia di volume.
Procedimento per il condimento e la confezione
Tritare finemente le cipolle metterle in un grosso tegame e farle soffriggere con qualche cucchiaio d’olio. Aggiungere la polpa di maiale e la salsiccia tolta dall’involucro e sbriciolata; fare rosolare a fuoco vivace, facendo attenzione a sgranarlo bene con un cucchiaio di legno, quindi sfumare con il vino. Unire la passata di pomodoro e il concentrato sciolto in poca acqua. Amalgamare e aggiustare di sale e pepe, aggiungere qualche cucchiaino di zucchero, il salame tagliato a piccoli cubetti e le foglie di alloro. Coprire con il coperchio e far cuocere, a fuoco basso, per circa due ore in modo da ottenere un ragù denso (non troppo liquido).
A fine cottura, togliere le foglie di alloro, aromatizzare con la cannella, i semi di finocchio e mettere da parte.
Trascorso il tempo di lievitazione dividere l’impasto in tre parti (oppure secondo le quantità che avete deciso di lavorare) e da ognuna di queste ricavare due panetti di cui uno un po’ più grande che servirà per foderare la base della teglia, mentre il più piccolo servirà per ricoprire il tutto. Preparare le teglie a bordo alto unte con l’olio oppure con strutto. Spianare il panetto più grande, ad uno spessore di circa due centimetri, e foderare tutta la teglia fino ai bordi.
Dividere il condimento già pronto in tre parti. Due di queste parti amalgamarle con i dadini di primosale e depositarle sulla pasta già stesa sulla teglia; ricoprire il condimento con l’altro panetto spianato sottilmente e bucherellato con una forchetta. Saldare bene i bordi e mettere a lievitare per un paio d’ore, quindi mettere in forno preriscaldato a 220° per venti minuti. Togliere lo sfincione dal forno e, velocemente, distribuire la terza parte del condimento spolverando il tutto con il pangrattato, l’origano e un filo d’olio. Rimettere in forno per altri venti minuti abbassando il forno a 180°.
A proposito di Sfincione
[fonte dizionario sentimentale della parlata siciliana di Gaetano Basile]
Dal concetto di pasta morbida e spugnosa (vedi sfince di san Giuseppe) nacque il nostro beneamato sfincione per la cui descrizione vi lasciamo alle parole di Vincenzo Mortillaro:
“Specie di schiacciata di pasta da far pane con diversi condimenti, sia di grasso, sia di latticino, o anche di magro, e fatta cuocere in forno”. E chi riconoscerebbe il nostro sfinciùni da questa descrizione? Ma erano altri tempi quelli in cui Mortillaro lo scrisse, e il pomodoro non entrava ancora a tra gli ingredienti. Infatti le monachelle del convento palermitano di San Vito (dietro l’odierno teatro Massimo) lo facevano come loro piatta* stendendo la pasta morbida e spugnosa in una teglia, quindi con le sante dita lo lardellavano di pezzetti di caciocavallo fresco e ricoprivano la superficie con interiora di pollo, pisellini e tanta besciamella. Al momento di servire, una bella spolverata di pangrattato serviva a fare la crosta dorata.
Quello con il pomodoro nacque alla fine dell’Ottocento e non raggiunse mai quelle vette.
* la piatta è un manicaretto o piatto particolare che, già nel settecento, ogni monastero produceva quasi fosse un segno distintivo:
a Palermo
le feddi del Cancelliere
le minni di vergine del Noviziato
le ravazzate con la ricotta di Sant’Elisabetta
il pan di Spagna della Pietà
il bianco mangiare di Santa Caterina
i famosi strunziddi di L’Ancili dei Sett’Angeli (odierni biscotti Regina)
ad Agrigento quel cuscus dolce color verde Islam delle monachelle del monastero di Santo Spirito i delicati passavulanti di Vicari, ecc. Insomma, possiamo dire che non ci fu ordine monacale di ogni angolo di Sicilia non ebbe la sua piatta.
La piatta più celebre celebrata rimane ancora oggi la frutta Martorana delle nobili Signore dell’Ordine di San Benedetto di Palermo. Si erano stabilite nello splendido edificio voluto, attorno al 1140, da Giorgio Antiocheno, Grande Ammiraglio di re Ruggero, affidato al clero greco nel 1221. solo nel 1435 fu ceduto da re Alfonso d’Aragona alle monache benedettine del vicino convento fondato nel 1194 da Eloisa Martorana. Fu più noto a tutti i siciliani per i dolci di pasta di mandorla, retaggio di antichi pasticcieri saraceni. Di certo sappiamo, però, che quelle suorine andavano molto fiere del loro giardino “ricco di ogni sorta di verzure e alberi di ogni frutto”. Pare abbiano ricevuto, ma senza precisazione alcuna circa l’anno né altri elementi che ne possano fare identificare il periodo, la visita di un cardinale curioso di vedere quelle delizie botaniche. In ogni caso l’eminentissimo scelse per la sua visita, malignamente forse, il periodo invernale. Le monachelle non si persero d’animo e attaccarono ai rami spogli dei loro alberi ogni sorta di frutta realizzata con pasta di mandorle e dipinta con i colori vivissimi della maturazione. Burlarono così il cardinale, ma pure il buon Dio che aveva deciso, a suo tempo, che la frutta fosse legata al ritmo delle stagioni. Dopo il 1886, con la soppressione degli Ordini voluta dal nuovo regno sabaudo, le nobili signore cessarono la loro dolce attività che divenne patrimonio dei pasticcieri palermitani. E non solo.
Lascia un commento