Contrariamente a quanto fa pensare il suo nome, il fico d’India (Opuntia ficus-indica) è originario del Messico e si è con molta rapidità diffuso nel bacino del mediterraneo, dove ha trovato un ambiente ideale per il suo sviluppo.
È pianta che sopporta climi molto aridi e caldi, grazie alla grande quantità di acqua che accumula nei suoi tessuti durante il periodo invernale; preferisce terreni sciolti e asciutti.
In Italia troviamo coltivazioni di fico d’India nelle regioni dell’estremo sud e nelle isole, in zone dove la temperatura invernale si mantiene al di sopra dello zero.
Botanicamente il fico d’India appartiene alla famiglia Cactacee, genere Opuntia (O. ficus-indica); altre specie appartenenti allo stesso genere (O.amiclea, O. dillenii) non interessano dal punto di vista frutticolo, in quanto sono utilizzate prevalentemente per formare siepi e frangivento.
In Sicilia, con le invasioni arabe, arrivò come fenomeno botanico e fu una strana e originale nota verde per le abitazioni barocche dell’epoca. Giuseppe Pitrè, uno dei più illustri studiosi delle tradizioni siciliane, racconta di una leggenda: ‘lu pedi di ficudinnia’ era una pianta velenosissima portata in Sicilia dai turchi al fine di distruggere il popolo dei cristiani.
La pianta è costituita da un insieme di cladodi o ‘pale’ appiattite e spinescenti, aventi la funzione sia di fusto, sia di foglie; questi stessi cladodi vengono utilizzati per riprodurre nuove piante, avendo la proprietà di mettere facilmente radici. Grazie all’attività del suo robusto apparato radicale, il fico d’India, assieme alla ginestra, è molto utile nel rendere coltivabili terreni di origine vulcanica, poiché riesce a formare il terriccio indispensabile per la crescita di altre piante meno rustiche.
I fiori sono molto vistosi, di colore arancione, e si sviluppano preferibilmente nella parte apicale dei cladodi, lungo il loro bordo; la fioritura avviene verso il mese di giugno.
Il frutto, che matura generalmente da agosto a ottobre, è una bacca ricca di semi (esistono anche varierà apirene, che producono però frutti di piccola pezzatura); la sua epidermide è di consistenza coriacea ed è cosparsa di alcuni ciuffetti di piccoli peli rigidi e pungenti.
Le numerose varierà di fico d’india prendono generalmente il nome dal colore del frutto: questo può essere rosso, giallo o bianco, in diverse gradazioni. La varietà a frutto bianco e giallo sono le migliori qualitativamente e anche le più produttive.
Con la pratica del diradamento dei fiori si ottengono frutti molto più grossi e apprezzati; allo scopo di produrre frutti tardivi, maturanti nel periodo invernale e quindi più richiesti dal mercato, viene eseguita in Sicilia la cosiddetta ‘scozzolatura’: consiste nella completa asportazione dei fiori che costringe la pianta a rifiorire un mese circa più tardi, portando la maturazione verso novembre-dicembre. A tal proposito, si racconta che, in Sicilia, il fico d’India ‘scuzzulato’ nacque per caso. Infatti, pare che in seguito ad un litigo fra due contadini confinanti, uno dei due decise di danneggiare l’altro recidendo tutti i fiori della pianta del vicino, ritenendo così di compromettere la raccolta dei frutti. Ciò non avvenne; al contrario, con la caduta delle prime piogge, la pianta ricominciò a fiorire e produsse, fuori stagione, frutti più grossi e più carnosi, i cosiddetti ‘bastarduna’ che oggi rappresentano una qualità superiore ai frutti di stagione.
Come detto, in Sicilia inizialmente i frutti del fico d’India furono considerati velenosi, mentre dopo vennero sfruttti al massimo tutte le sue qualità. In pratica, di questa pianta, in Sicilia viene utilizzato tutto:
Le pale vengono utilizzate per alimentare i bovini in tempi di scarso mangime.
I fiori secchi (‘u ciuri ri ficurinnia) vengono usati per ricavare tisane che, oltre ad essere rinfrescanti per l’apparato urinario, risulterebbero capaci di combattere i disturbi della circolazione.
Dalle bucce del frutto, opportunamente ripulite, in alcuni luoghi della Sicilia, ne ricavano succulente cotolette.
Del frutto i nostri antenati hanno dovuto prima prevalere sulla leggenda che lo definivano velenoso e poi sulla realtà considerato che, a prima vista, potrebbero sembrare non commestibili a causa della copiosa presenza di spine. Gaetano Basile, scrittore e studioso dei nostri giorni, a tal proposito scrive: “….ci fu un intervento diretto del Padreterno che per noi isolani para abbia sempre avuto un occhio di riguardo. Grazie al Suo divino interessamento, i frutti spinosi di quella pianta diventarono buoni da mangiare ed anche benefici…” Infatti, oltre all’indiscutibile gusto del frutto consumato fresco, dallo stesso è possibile ritrovarne l’impiego per la realizzazione di gustose frittelle, di un particolare rosolio, di granite e di una insolita mostarda, ‘u masticutti, esibita in apposite formelle di terracotta e decorata con foglie di alloro.
In conclusione, la pianta di fico d’India in Sicilia oggi rappresenta un bene prezioso che va dall’impatto visivo e decorativo della pianta, ai suoi impieghi in cucina tanto che, oltre ad essere ormai un prodotto tipico siciliano, è divenuto anche simbolo della nostra terra.
In corsivo fonte: enciclopedia delle scienze Istituto geografico De Agostini
In Messico fanno uso anche delle pale, sia in cucina a fare dei piatti speciali, come anche delle bevante
Ciao Giovanni agosto 2020 fatta 2 volte la granita. Tutto bene da te? Stammi bene. Ricetta di granita al Pistacchio non c’è. Grazie ancora ciao
Ciao Ale, qui tutto bene, non appena possibile pubblicherò la ricetta per lagranita al pistacchio
A pretso
ciao giovanni tutto ok?fatta 2kg di granita fico d’india recuro anno 2021 che non lo fatta ciao giovanni
Ciao Alex, perfetto
a presto